Tuesday, November 24, 2009

Missione Impossibile: intervista a Carlo Peroni in arte Perogatt in occasione del suo ottantesimo genetliaco.


Cari lettori, immaginate, mentre vi apprestate a leggere queste righe, che attorno a voi risuonino alte e squillanti le immortali note del tema di “Missione Impossibile” del maestro Lalo Schifrin.
Sì, perché quella che mi appresto a compiere è davvero una "mission impossible": tentare di riassumere in un’unica intervista oltre sessant’anni (dico 60 anni) di carriera di uno dei più prolifici e proteiformi autori del fumetto e dell’animazione italiana, Carlo Peroni in arte Perogatt.


- Maestro Peroni, innanzitutto un chiarimento sulla pronuncia del tuo pseudonimo: si dice Pèrogatt o Perogàtt? E come è nato questo nomignolo?
- Innanzitutto, Ciao Piero! (sempre meglio tenersi buono chi ti intervista, no..?). La pronuncia corretta è Perogàtt dato che il mio pseudonimo deriva dalla fusione di Peroni + gatto. Devi sapere che sono sempre stato un supermaniaco di gatti e all’inizio mi firmavo “Peroni” con accanto un gattino stilizzato. Di conseguenza gli amici-colleghi romani mi avevano soprannominato Perogatto. La cosa non mi dispiaceva, anzi, ma poi ho pensato di togliere la “o” finale: un po’ per fare prima e un po’ per aggiungere un pizzico di esotismo.
Poi mi sono accorto che la maggior parte della gente mi chiamava Pèrogatt… Ma va bene ugualmente!

In basso, una delle prime tavole del Maestro Peroni (1949).

- Proseguo sbarazzandomi subito della più scontata delle domande: ci racconti qualcosa dei tuoi inizi? Come sei approdato al fumetto? Si è trattato di un caso oppure è quello che hai sempre sognato di fare sin da piccolo?
- In realtà avrei dovuto fare il bancario. Avendo un fratello maggiore impiegato in banca, era scontato, per lui, che anche’io facessi quel lavoro. Mi fece quindi studiare da ragioniere perché seguissi le sue orme. Ma io non ne volevo sapere e un giorno, a sua insaputa, scappai a Milano e mi presentai presso la redazione de “La Vispa Teresa”, un giornale a fumetti per bambine molto popolare all’epoca (si parla degli anni ’40). Tra l’altro era un’ottima rivista ed è un peccato che non se ne parli quasi più. Fui accolto dal direttore-proprietario, il Comm. Pierotti Cei, che mi mise subito in una stanza e mi disse: prepari l’impaginazione e qualche illustrazione per prossimo numero della nostra rivista. Io ci diedi dentro tutto il giorno e alla fine gli mostrai quanto avevo preparato: l’impaginazione, le illustrazioni e persino i titolini, fatti a mano, di tutto il numero. Il Commendatore diede un’attenta occhiata al mio lavoro e quindi mi disse: “Signor Peroni, da domattina si presenti per far parte della nostra redazione: è assunto come impaginatore!”. Io non credevo alle mie orecchie e dissi un “sì” balbettante, tra l’altro dimenticando di chiedergli quale sarebbe stato il mio compenso. Per fortuna poi scopersi che il Commendatore mi aveva offerto una bella cifra. Mi disse che ero molto fortunato, in quanto stava proprio cercando un nuovo impaginatore perché quello ufficiale era deceduto solo pochi giorni prima. Quindi mi diede esattamente la stessa cifra, altissima, che dava a lui! Beh, come inizio non era male, no?
Devo aggiungere però, che prima che tutto ciò accadesse, avevo frequentato una serissima Scuola d’Arte, di quelle con la A maiuscola. Una scuola vecchio stampo, alla maniera del Rinascimento: pochissima teoria e tantissima pratica. Come prima cosa mi insegnarono come preparare i colori secondo antiche ricette. Poi imparai a disegnare nudi dal vero, con modelli e modelle. Subito dopo mi affidarono il restauro di antichi dipinti danneggiati dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Fui addirittura incaricato di realizzare un grande affresco nella parete finale di una chiesa, cosa che mi permise di imparare numerose tecniche di pittura che in futuro si sarebbero rivelate molto utili.
Ma il mio vero sogno rimaneva quello di fare i fumetti! Avevo addirittura realizzato un giornaletto interamente scritto e disegnato da me. Ne facevo più copie con un sistema molto artigianale, di cui ora non ricordo il nome, in cui si utilizzava una specie di gelatina sulla quale si riponevano i fogli disegnati con un inchiostro speciale. Pressando con un particolare matterello ne uscivano delle copie che poi vendevo, per poche lire, agli affezionati lettori: i miei amici. Spedivo una copia di ogni numero a mio fratello, all’epoca militare in Grecia, che lui faceva leggere anche ai suoi commilitoni. Una volta però il mio pacchetto tornò indietro: mio fratello era stato fatto prigioniero! Non seppi più niente di lui per anni, fino a quando un bel giorno, finita la guerra, ritornò a casa. Ci raccontò che era stato prigioniero in Austria e fortunatamente era stato trattato abbastanza bene.

Una copertina del giovane Perogatt per il settimanale "La Vispa Teresa" (1952).

- Ricordi il primo fumetto da te pubblicato?
- Certo! Uno scrittore mi chiese di realizzare le illustrazioni per un suo libro intitolato “Le avventure di Pulcinella”. Io ci misi il massimo impegno, e quando finalmente vidi la prima copia stampata non credetti ai miei occhi. Fu un'enorme soddisfazione vedere i propri disegni pubblicati per la prima volta in un libro. Subito dopo mi misi a disegnare un fumetto vero e proprio, intitolato “Il mistero del vaso cinese”. Feci vedere le tavole a una vicina di casa che lavorava a Milano come creatrice dei bozzetti per la nota casa di moda Galtrucco. I suoi disegni venivano esposti nelle vetrine di Piazza del Duomo. Mi chiese di poter far vedere il mio fumetto ad alcuni suoi amici di Milano. Ovviamente ne fui entusiasta. Quando tornò mi disse che il direttore del “Corriere dei Piccoli" (di cui ora non ricordo il nome, si parla dei primi anni ’40) avrebbe voluto pubblicare il mio fumetto scrivendo che era stato disegnato da un loro giovanissimo lettore-prodigio. Ma la guerra avanzava e i collegamenti con il resto d’Italia erano nel frattempo stati interrotti. Il "Corriere dei Piccoli", come del resto la maggior parte dei giornali italiani di allora, non uscì per un lungo periodo. Quando finalmente, anni dopo, la guerra finì, ricevetti una lettera dal direttore che mi chiedeva il permesso di pubblicare il mio fumetto, scrivendo appunto che era stato realizzato da “un giovanissimo lettore”. Io gli risposi che nel frattempo ero cresciuto e non ero più un ragazzino… Lui ne fu molto dispiaciuto: non aveva tenuto conto del fattore tempo! Mi rispedì le tavole, e congratulandosi con me mi disse che sicuramente un giorno o l’altro avrei collaborato al "Corriere dei Piccoli". Le sue parole si sarebbero rivelate profetiche!

Un'illustrazione di Sebastiano Craveri, uno dei primi ispiratori del Maestro Peroni.

- Oggi, anche grazie a internet, un giovane fumettista in cerca di modelli a cui ispirarsi non ha che l’imbarazzo della scelta. Quando tu eri ragazzo quali erano le tue fonti di ispirazione? C’è qualche autore in particolare sul quale ti sei formato?
- Pur avendo iniziato con l’Arte con la “A” maiuscola (con una particolare predilezione per Caravaggio), i miei punti di riferimento erano, inizialmente, i disegnatori del "Corriere dei Piccoli", per la maggior parte autori statunitensi i cui lavori venivano adattati per l’Italia.

Una tavola di Lino Landolfi, uno dei punti di riferimento del giovane Perogatt.

Subito dopo scoprii "Il Vittorioso", con le belle tavole disegnate da Sebastiano Craveri, di cui mi innamorai immediatamente. Qui scoprii anche Jacovitti, che era un po’ più vicino al mio modo di concepire i fumetti. Inizialmente mi ispiravo un po’ all’uno ed un po’ all’altro. In seguito ebbi la fortuna di andare ad abitare a Roma proprio di fronte alla casa del grande Jac, con cui feci subito amicizia. Frequentavo assiduamente il suo studio (ero uno dei pochi “privilegiati” dato che Jacovitti non amava disegnare in presenza di altre persone) e da lui imparai moltissimo. Ne fui molto influenzato.
In quel periodo conobbi un altro grandissimo disegnatore de "Il Vittorioso", Lino Landolfi, con cui ebbi una stretta collaborazione aiutandolo a realizzare molte tavole.
I miei punti di riferimento erano quindi diversi: Craveri mi insegnò la poesia, Jacovitti la follia, Landolfi l’anatomia e la cura nel disegno. Alla fine riuscii a creare un mio stile che è un po’ un cocktail di tutti questi grandi autori.


Gervasio, uno dei personaggi prediletti dal Maestro.


- Quanti personaggi hai creato? E fra tutti, ce n’è uno a cui sei particolarmente legato?
- Ahi ahi… domanda difficile, nel senso che ho creato una marea di personaggi! Sarebbe un po’ come chiedere a un padre quale figlio preferisce. Dovendo proprio scegliere, i personaggi ai quali sono più legato sono soprattutto due: Gervasio e Slurp. Gervasio fu ideato per il settimanale “Capitan Walter”. Con questo personaggio realizzai centinaia di storie, che furono pubblicate anche sulle riviste “Jolly”, “Cucciolo” e “Più”. Gervasio era una specie di “vendetta” personale nei confronti dell’amatissimo Paperon De’ Paperoni. Con Gervasio volli creare l’anti-Paperone, cioè un personaggio che non amava accumulare denaro, ma che anzi cercava sempre di disfarsene poiché gli procurava una terribile allergia. Tutte le storie infatti terminavano con un tremendo starnuto.

Slurp, il lato folle del Maestro Peroni.

Slurp è il mio personaggio più folle. Completamente verde, con un’anatomia tutta sua e una lunghissima lingua, Slurp è stato una specie di liberazione: con lui ho potuto finalmente dare sfogo alla mia “demenzialità”. Con questo personaggio ho realizzato una rivista interamente sua, e una trasmissione televisiva quotidiana chiamata “Slurpiamo” con tre presentatori: Federica Fontana (allora al debutto di una fortunata carriera televisiva) e due giovani entrambi di nome Alex (che poi si decise di ribattezzare Alex e Alem). La trasmissione era curata da mia figlia Luisa, produttrice, mentre il regista era suo cognato. Io stesso intervenivo spesso durante il programma disegnando Slurp. Una volta realizzai addirittura un disegno animato in diretta, protagonista ovviamente il linguacciuto verde!


Via San Calimero, Milano.


- Hai qualcosa a che fare con un certo pulcino nero?
- Lasciami pensare un po’… Ricordo che anni fa ero solito andare in campagna a osservare gli animali e una volta rimasi colpito da un pulcino che aveva ancora in testa un pezzetto di guscio. La contadina mi spiegò che era una cosa piuttosto comune, ma a me rimase comunque molto impressa. Qualche anno dopo, nel 1963, quando iniziai a lavorare come capo animatore per la Pagot Film a Milano, uno dei miei primi incarichi fu quello di “tappare un buco”, cioè realizzare un Carosello a mio piacimento, in attesa che la Mira Lanza ne approvasse una nuova serie, dato che quelli prodotti fin a quel momento non erano piaciuti. Mi ispirai ai caroselli che erano stati realizzati prima del mio arrivo, ambientati in una fattoria di campagna con i vari animali.

La basilica di San Calimero a Milano (V secolo).

Mi venne in mente di metterci un pulcino che, ancora uovo, con le sole zampette fuori, era uscito dal nido in cerca della mamma finendo per cadere dentro una pozzanghera, dalla quale usciva tutto nero e con una parte di guscio ancora in testa, quasi come il pulcino che avevo visto anni prima in campagna. Seguitando ad andare in giro in cerca della mamma, finiva per imbattersi in una gallina con un seguito di pulcini, la quale gli spiegava che lei non poteva essere la sua mamma dato che lui era nero mentre i suoi piccoli erano completamente bianchi. Avvilito, il pulcino nero arrivava nei pressi di un mastello dove la famosa Olandesina lo prendeva e lo immergeva delicatamente nell’acqua dicendogli che lui non era nero, ma solo sporco. Da qui seguiva la parte pubblicitaria vera e propria.
Avevo bisogno di un nome che facesse rima con “nero” e mi venne in mente Calimero perché tutti i giorni, per arrivare presso gli studi della Pagot Film a Milano, passavo in una viuzza chiamata via San Calimero. Quando vennero i responsabili della Mira Lanza, i fratelli Pagot erano pronti a presentare loro un nuovo progetto, ma non appena videro il filmato che avevo realizzato, decisero che sarebbe stato quello il loro nuovo carosello!


San Calimero e... il suo omonimo.


Fu un successo immediato, clamoroso. Un giorno, recandomi al bar che si trovava nei pressi della Pagot Film per bere un caffè, lessi in un giornale una notizia incredibile: per il festival della pubblicità di quell’anno avevano vinto tre caroselli, tutti progettati interamente da me: Calimero, Gatto Silvestro (realizzato su licenza americana) e Cocco Bill. Quest’ultimo fu realizzato su concessione di Jacovitti, il quale aveva accettato che il suo personaggio fosse utilizzato per Carosello a patto che fossi io a realizzarlo, dato che sarebbe stato come se lo avesse disegnato lui stesso. Mi inviò solo tre o quattro bozzetti e su questa base realizzai tutta la serie per la pubblicità del gelato Eldorado.
Qualche tempo dopo decisi di lasciare lo studio Pagot per mettermi in proprio. Seguitai a realizzare le sceneggiature e le animazioni di Calimero, ma nel frattempo si era sparsa la voce che non lavoravo più alla Pagot Film e avevo creato una mia casa di produzione. La maggior parte dei clienti della Pagot decise allora di rivolgersi direttamente al mio studio e io continuai così a realizzare moltissimi Caroselli.
Nel frattempo avevo anche ripreso a fare fumetti, prima per il “Giornalino” e successivamente per il “Corriere dei Piccoli”.

Nerofumo, uno dei personaggi del Maestro Peroni più noti all'estero.

- In quanti paesi sei stato pubblicato? Hai creato qualche personaggio appositamente per il mercato internazionale?
- Caro Piero, tu vuoi proprio costringermi a scrivere un libro, eh? Va bene, cercherò di essere breve, nei limiti del possibile. Molti miei personaggi sono conosciuti in quasi tutto il mondo, escludendo la Cina e pochi altri paesi. Ho realizzato fumetti che sono stati tradotti in quasi tutte le lingue, compresi alcuni idiomi africani. Alcuni personaggi sono conosciuti solo all’estero, come ad esempio un certo Dull che è molto popolare in Giappone, o Nerofumo, che è stato pubblicato in quasi tutta l’America latina e, per un certo periodo, anche negli Stati Uniti. E’ anche molto apprezzato dai lettori africani. Nerofumo è il personaggio più stilizzato che abbia mai creato e credo che il suo successo sia dovuto al fatto che riesce far ridere facendo anche “pensare”.
Poi c’è Gianconiglio, che è stato pubblicato, oltre che in Italia sul “Corriere dei Piccoli”, anche in Germania, Grecia e Giappone.
Ho anche realizzato una versione di Gianconiglio per un pubblico un po’ più adulto principalmente per il mercato tedesco, dove è stato ribattezzato Sonny. Gianconiglio è stato tradotto anche in fiammingo per il Belgio e la Danimarca.


Sonny, la versione tedesca di Gianconiglio.


- Pensi che il tuo lavoro sia stato maggiormente riconosciuto in Italia o all’estero?
- Senz’altro all’estero. Purtroppo in Italia il fumetto è ancora ritenuto un prodotto di seconda categoria, per bambini, mentre in molti Paesi gode della giusta considerazione e i lettori hanno una età media maggiore rispetto all’Italia. Da noi, se un fumetto è destinato ai ragazzi, gli adulti si vergognano di acquistarlo, mentre all’estero è letto da grandi e piccoli. Io credo fermamente che un fumetto ben realizzato sia adatto a qualsiasi età. Continuo a sperare che questo accada presto anche in Italia e sto pensando seriamente a una rivista destinata a un pubblico trasversale.


Jacovitti, maestro, amico, vicino di casa di Perogatt.


- Nel corso della tua lunghissima carriera hai avuto a che fare con numerose personalità del mondo del fumetto e non solo. Puoi indicarcene qualcuna che ti ha colpito particolarmente?
- Alcuni li ho già nominati prima, come Jacovitti e Landolfi, ma ce ne sono moltissimi altri con i quali ho avuto una stretta collaborazione, come ad esempio Sergio Toppi.
Per un lungo periodo abbiamo lavorato assieme per la casa di produzione di disegni animati che ho già nominato. Toppi preparava dei bellissimi disegni e io, spesso partendo da uno solo di questi, sono riuscito a realizzare molte pubblicità animate di altissima qualità.
Ma la lista dei personaggi illustri con cui ho collaborato sarebbe lunghissima. Avendo frequentato per anni la redazione del vecchio “Vittorioso” e del “Corriere dei Piccoli”, ho conosciuto da vicino tutti i grandi nomi del fumetto italiano. Potrei citare Caesar, un maestro nel settore della tecnica e della fantascienza, l’inimitabile Walter Molino, il "disegnatore dei puntini" Caprioli, il "perfezionista" e innovatore nel modo di raccontare a fumetti Gianni De Luca. Ripeto, la lista sarebbe lunghissima.

- Come animatore, hai partecipato alla realizzazione di numerosi “caroselli”. Puoi parlarci un po’ di questa tua esperienza?
- Carosello non fu la mia prima esperienza come animatore. Anni prima, a Roma, avevo realizzato molte animazioni commissionate da una TV americana, per uno show con il direttore d’orchestra Xavier Cugat e la bellissima Abbe Lane, una coppia all’epoca molto popolare anche in Italia grazie a una fortunata serie di trasmissioni per la RAI. Nello stesso periodo realizzai anche molta pubblicità, sempre per gli Stati Uniti.
Per Carosello, a parte Calimero di cui ho già parlato, ricordo con particolare piacere tutta la serie di animazioni che ho realizzato per la Gamma Film, con i personaggi creati dal grande Gino Gavioli. Gavioli, che era un semplice dipendente della ditta guidata dal fratello Roberto, si limitava a disegnare i tratti principali dei personaggi, senza studiarli “a tre dimensioni”.
Preparava un solo disegno, stava poi all’animatore immaginare come fosse il personaggio visto da tutti i lati. Spesso ero io stesso a chiedere a Gino un personaggio. Glielo descrivevo a grandi linee e lui me lo schizzava molto velocemente. Io avevo poi il compito di rifinirlo e animarlo. Con Gavioli ho creato moltissimi personaggi di successo, fra cui Cimabue, Sorbolik, Capitan Trinchetto. Poi ce ne sono alcuni creati interamente da me, come ad esempio la mascotte dell’acqua minerale Ferrarelle, Silvanella (successivamente ribattezzata Ferrarella), una centaurina che volava suonando il flauto e lasciando dietro di sé delle bollicine “magiche”.
Molti anni dopo, finito Carosello, ho creato i Paciocchi per la linea Mister Day della Parmalat. Dai Paciocchi fu ricavato molto merchandising, fra cui figurine e pupazzi che venivano messi nelle confezioni delle merendine. Sempre con i Paciocchi realizzai una serie a disegni animati grande qualità, con una tecnica che mischiava il “dal vero” ai disegni.

Un fotogramma del lungometraggio "Putiferio va alla guerra" (1968).

- Hai lavorato a qualche lungometraggio animato?
- Nel 1968 ho partecipato alla realizzazione di un lungometraggio prodotto dalla Gamma Film, “Putiferio va alla guerra” per il quale ho animato moltissime sequenze. Ma già molti anni prima, quando abitavo a Roma, avevo lavorato a un film animato per una piccola casa si produzione. Stavano realizzando un lungometraggio con un titolo abbastanza simile a Putiferio, che adesso purtroppo non ricordo. Quello che invece ricordo molto bene è che improvvisamente lo studio chiuse i battenti per mancanza di fondi, e io fui uno dei pochi fortunati a essere pagato!

Un bozzetto del Maestro per il mediometraggio "Arrivano i Putipoti" (1967).

- E’ vero che un tuo mediometraggio ha vinto un importante festival della fantascienza?
- Sì, ma purtroppo non ne possiedo nemmeno una copia perché la ditta che realizzava lo sviluppo e la stampa dei film saltuariamente si liberava del materiale prodotto per ragioni di spazio. Fra questo materiale c’era purtroppo anche il mio mediometraggio. Non so se qualcuno ne possieda una copia. Si intitolava “Arrivano i Putipoti”; era un “film pilota”, commissionato dalla RAI che pensava di farne una serie. Fu prodotto dalla Slogan Film con una tecnica mista: “dal vero”, pupazzi e disegni animati. Dato che era di genere fantascientifico, il produttore ne spedì una copia al Festival della fantascienza di Trieste dove vinse un premio speciale. Purtroppo però il film non piacque alla RAI a causa del montaggio dal ritmo molto incalzante, assai diverso da quelli che erano in voga all’epoca (si parla degli anni ’60). Oggi è un genere di montaggio piuttosto comune, ma evidentemente la RAI di allora non era ancora pronta per quel tipo di “linguaggio”.

Una tavola di Gianconiglio da un Corriere dei Piccoli degli anni '70.


- Quali sono le più importanti testate, italiane e internazionali, con cui hai collaborato?

- Anche qui l’elenco sarebbe piuttosto lungo, dato che ho collaborato con praticamente quasi tutte le testate italiane. Dalle più note e importanti, come “Il Vittorioso”, “il Giornalino”, il “Corriere dei Piccoli", alle minori, ma comunque molto popolari all’epoca, come “Cucciolo” e “Tiramolla”.
Per l’estero ho collaborato con diversi periodici inglesi e francesi, ma soprattutto per la Germania, prima per il periodico “Fixi und Foxi” (di Kawka – o Kauka? Non ricordo bene, ma era molto conosciuto da quelle parti), poi per il più importante quotidiano d’Europa: il “Bild”, oltre 5 milioni di copie al giorno! Qui iniziai con Gianconiglio, che come ho già detto in Germania venne ribattezzato Sonny.
Qualche anno dopo Sonny ebbe una rivista tutta sua, con storie che lo vedevano protagonista, realizzate da me e da un nutrito gruppo di collaboratori. Il personaggio fu modificato parecchio, soprattutto dal punto di vista psicologico, perchè era diretto a un pubblico di adolescenti e giovani adulti più che ai bambini. Aggiunsi inoltre molti personaggi di contorno creati appositamente per i lettori tedeschi e studiai un’ambientazione diversa, ricreando il tipico paesino germanico (che chiamai “Hasenruh”, ovvero “il paese dei conigli”).
Ripresi molte abitudini tipiche del posto, come ad esempio la vendita di würstel per strada dentro contenitori in metallo colmi d’acqua calda, cosa che avevo visto fare durante uno dei miei numerosi viaggi in Germania.
Il fatto che avessi studiato, oltre all’inglese e al francese, anche il tedesco, si rivelò molto utile per questo lavoro: ad esempio aggiunsi molti suoni onomatopeici in tedesco, in modo che i lettori potessero comprenderli meglio. Sonny è stato pubblicato anche in fiammingo, in questo caso però non ho mai capito una sola parola!


Il Maestro Peroni e gli altri grandi disegnatori de "Il Vittorioso" in un'illustrazione di Giuseppe Festino.


- Hai un aneddoto particolarmente curioso legato alla tua carriera che vorresti condividere con noi?
- Anche qui mi metti un po’ in difficoltà! Ne avrei moltissimi da raccontare. Molti di questi si possono trovare sui miei Blog (anzi PeroBlog!) come ad esempio su www.peroblog.splinder.com.
Ma ce n’è uno che non ho ancora raccontato e lo lascio proprio per te, carissimo Piero, perchè ti riguarda direttamente. Tempo fa, alla fine degli anni ’90, ricevetti un’e-mail da un certo... Piero Tonin che mi scriveva da Washington, negli Stati Uniti, dicendomi di conoscere molto bene la mia produzione, soprattutto Gianconiglio.
Fino ad allora non avevo mai sentito parlare di questo signor Tonin e mi meravigliai molto della sua email proveniente da un posto così lontano.
Gli risposi calorosamente, ma, confesso, con un po’ di dubbio, perchè negli anni mi è capitato più volte di subire scherzi via e-mail da parte di amici, talvolta cascandoci in pieno! Temevo quindi che anche questa volta si trattasse di uno scherzo… Ma poi ricevetti la risposta di Piero in cui mi parlava dell’amico (mai dimenticato!) Osvaldo Cavandoli raccontando alcuni particolari che solo chi aveva veramente conosciuto il grande Cava poteva conoscere. Rassicurato sul fatto che non si trattava di uno scherzo facemmo subito amicizia, per il momento in maniera “virtuale”, anche grazie a programmi di chat via internet.


Osvaldo Cavandoli in arte Cava, geniale amico di Carlo Peroni in arte Perogatt.


Un bel giorno Piero mi comunicò che avrebbe trascorso qualche giorno in Italia. Fu così che, l’amico “virtuale” venne finalmente a trovarmi nel mio studio. Per me fu un bellissimo giorno perché scopersi che Piero era anche molto più di quello che immaginavo: una persona veramente splendida! Andammo immediatamente d’accordo su tutto e da allora, anche se purtroppo non ci incontriamo molto spesso causa la distanza, ci sentiamo frequentemente per telefono e per e-mail. Insomma, questa per me è stata una delle migliori scoperte: un grande amico e, come dice il proverbio “chi trova un amico trova un tesoro”. E io ho trovato veramente un “tesoro” che non ha prezzo!

Il primo computer del Maestro Peroni.

- Ah..! Ebbene sì, maledetto Perogatt, me l’hai fatta anche stavolta! Sei riuscito a farmi arrossire come un peperone. Adesso però proseguiamo con l’intervista… Qual è il tuo rapporto con le nuove tecnologie, computer, internet etc? Ti trovi a tuo agio oppure sono qualcosa di cui faresti volentieri a meno?
- Sono un vero e proprio “computer-dipendente”! Li uso da sempre, pensa che il mio primo PC aveva ben 20k di memoria! Era il leggendario Commodore Vic20, un computer pensato soprattutto per i ragazzi che avevo regalato a mio figlio Paolo, il quale però non se interessò più di tanto. Io lo adoperai per realizzare alcuni giochi, con i quali poi giocava proprio mio figlio. Quindi passai al Commodore 64 (che aveva ben 64K di memoria!), poi un Olivetti M24 con dei floppy grandissimi, infine a computer più o meno come quelli attuali: Windows 95. La memoria allora era scarsissima, ma a me sembrava enorme.
Penso di essere stato uno dei primi disegnatori di fumetti in Italia ad usare regolarmente il computer. Ora ne ho diversi, di varia qualità e potenza. Ho insegnato anche a mio figlio Paolo a usare il pc e ora realizziamo insieme i fumetti quasi completamente in digitale, dalla colorazione al lettering. Ciò mi permette di consegnare i disegni già pronti per la stampa, impaginazione compresa.
Nel frattempo mi è venuta anche la mania di internet e mi sono subito messo a studiare come realizzare un sito web. Anche in questo caso credo di essere stato uno dei primissimi disegnatori di fumetti ad avere un sito personale e soprattutto realizzato interamente da me! Mi è costato innumerevoli notti di lavoro, ma poi ci ho preso gusto e ne ho realizzato molti altri, oltre una ventina, usando anche dei “linguaggi” internet più sofisticati, sempre imparando tutto da solo.
Nel 2004 ho persino vinto il premio per il miglior sito italiano! Insomma, sono sempre al computer, sia per lavoro che per divertimento: ormai non posso più farne a meno.
Vedo che ancor oggi alcuni miei colleghi si ostinano a ignorare il computer e mi spiace per loro: bisogna sempre stare al passo con i tempi.
A questo proposito voglio raccontarti un aneddoto: avevo uno zio che faceva il vetturino, una specie di tassista ante litteram con carrozza e cavallo al posto dell’automobile. Quando cominciarono ad arrivare i primi tassisti muniti di auto, lui disse che quella era una moda che sarebbe passata presto. Noi gli dicevamo che avrebbe dovuto anche lui vendere il cavallo e prendersi un’automobile, ma lui, testardo, non cambiò idea. Purtroppo morì qualche anno dopo in povertà…


il Maestro in compagnia di alcuni dei suoi più noti personaggi.



- Nel corso della tua lunghissima e instancabile attività hai fatto veramente di tutto. C’è ancora qualche sogno che per qualche motivo è rimasto nel proverbiale cassetto e che speri di realizzare in futuro?

- Spesso mi chiedono quali lavori ho fatto e io immancabilmente rispondo che sarebbe forse meglio chiedermi quali sono quelli che non ho fatto. Infatti nella mia lunga carriera ho fatto veramente di tutto, forse troppo. Invidio un po’ chi, come ad esempio il grande Charles Schulz, l’autore dei Peanuts, per tutta la carriera ha realizzato quasi esclusivamente gli stessi personaggi. Io invece ne ho creato una miriade e solo ora penso che forse avrei fatto meglio ad insistere su un solo personaggio, ma è inutile, sono fatto così. Mentre realizzo un personaggio me ne viene in mente un altro e poi un altro ancora, e così mi ritrovo ad averne creato a centinaia.
Alcuni sono più conosciuti, altri meno, ma è un po’ come se avessi avuto moltissimi figli: chi ha un solo figlio gli dedica tutto il suo amore, mentre chi ne ha tanti deve per forza dividerlo anche con tutti gli altri. Ecco, ogni volta che creo un personaggio nuovo, mi ci affeziono subito e spesso dimentico un po’ quelli creati precedentemente. Sì, c’è poco da fare, sono fatto così.
Ma la tua domanda si riferiva ai classici sogni nel cassetto. Beh, potrà sembrare strano, ma non ho sogni nel cassetto. Piuttosto mi piacerebbe molto poter realizzare, almeno per una volta, un progetto senza che mi mettano troppa fretta: sono sempre stato vittima dei tempi stretti e molto raramente ho potuto fare quello che avevo in mente con la dovuta calma. Ecco, questo è il mio vero sogno nel cassetto: fare almeno una sola cosa, ma curata bene.
Ma so bene che si tratta solo di un'utopia: nella realtà quotidiana si è sempre sempre alle prese con il calendario e con l’orologio…
Beh, vorra dire che seguiterò a sognare!

Buon compleanno, Perogatt!

Tuesday, November 10, 2009

Amarcord 3: Sigla di "Ciao Ciao Mattina" (Rete 4 - 1994)



Sigla di "Ciao Ciao Mattina", con Davide Garbolino e Ragù (ReteQuattro - 1994). Animazioni di Piero Tonin e Andrea Venier.

Opening credits for "Ciao Ciao Mattina" with Davide Garbolino and Ragù (ReteQuattro - 1994). Animation by Piero Tonin e Andrea Venier.

Saturday, November 7, 2009

Showreel



Il mio showereel, con animazioni realizzate per Benetton, Henninger, Nordica, Danone, YouTube, Canale 5, Italia 1, Retequattro, Comune di Como, Lanterna Magica, RAI Radiotelevisione Italiana, EMI Music, Vinicio Capossela, Soroptimist International.

My animation showereel, including work for Benetton, Henninger Beer, Nordica, Danone (Dannon), YouTube, Canale 5, Italia 1, Retequattro, Comune di Como, Lanterna Magica, RAI Radiotelevisione Italiana, EMI Music, Vinicio Capossela, Soroptimist International.

Tuesday, November 3, 2009

Amarcord 2: Sigla di "Libriamoci" (Rete 4 - 1994)



Sigla di "Libriamoci" con il pupazzo Ragù (ReteQuattro - 1994). Animazioni interamente realizzate su carta da Piero Tonin, Andrea Venier e Marco Varrone.

Opening credits for "Libriamoci" with the puppet Ragù (ReteQuattro - 1994). Animation entirely hand-drawn on paper by Piero Tonin, Andrea Venier e Marco Varrone.